DOPING E VIOLENZA: La scuola, gli educatori, ma soprattutto la società e le Istituzioni devono essere impegnate contro le degenerazioni dello sport.


Lo Sport vissuto con violenza è sintomo di malessere sociale. La necessità di monitorarne le evoluzioni può rendersi  utile per capire quali contrasti si vivano nell’attuale contesto e  quali possano essere le misure atte a contenerne la degenerazione. Violenza non significa solo affronto fisico, ma anche rifiuto delle regole, ricorso a mezzi illeciti per prevalere sull’avversario, crescente naturalezza a considerare i tutori delle norme di gioco ostacoli all’affermazione personale o di gruppo.
Compito della società è di restituire allo Sport una valenza che, una volta, gli era propria e che costituiva la sua stessa essenza. Sport vuol dire lealtà, confronto di forze che non mira alla  sopraffazione o al dominio materiale, ma che aspira al miglioramento di se stessi.
L’analisi deve partire dal deterioramento che il concetto ha subito negli ultimi anni. La società di oggi e l’obbiettivo di quanti praticano lo sport a qualsiasi livello, amatoriale, dilettantistico o professionistico, ha accreditato un valore primario agli effetti (vittoria), piuttosto che alle motivazioni (confronto secondo regole), che ogni esercizio sportivo comporta. L’errata interpretazione delle finalità porta a scelte scellerate, suppone una rincorsa continua all’illegalità nel raffronto, sdogana come lecite scorciatoie per raggiungere un falso scopo: prevalere sull’avversario ad ogni costo e con qualsiasi mezzo.
Come si è arrivati a questo livello di degenerazione? Sicuramente ha influito una malintesa valutazione del successo e un’altrettanta distorta considerazione della sconfitta, immagine, questa ultima che la società odierna rifiuta perché frustrante. Non importa se una parte  abbia perduto con onore o dignità. Chi perde non vale niente, non merita attenzione, non ha diritto a spazio o menzione. E’ un perdente e per un perdente non esiste sconfitta addolcita “dall’ onore delle armi”.
Nessuno è disposto a convincersi che si apprende più da una sconfitta che da un successo. Da qui a ricorrere a strumenti surrogatori delle abilità individuali o di gruppo, il passo è breve. Il ricorso a strade che alleviano la fatica, la scelta cosciente di mezzi illegali, diventano sempre più giustificati e giustificabili, perché i soli a garantire il successo.
L’escalation non ha più freni: dalla vile scorrettezza all’assunzione sconsiderata di doping la distanza è minima. Le discipline più popolari si prestano a fornire gli esempi negativi più eclatanti: dalla confessione tardiva di Armstrong nel ciclismo (il ritardo è servito a tener desto l’interesse sul Tour de France per sei lunghi anni, a vantaggio anche degli organizzatori), all’ultima avventura del calcio brasiliano che ha visto la polizia intervenire in assetto antisommossa per sedare una lite fra l’Atletico Mineiro e l’Arsenal Sarandi, sorta per una controversa decisione arbitrale). Nessuno è più disposto a giocare ruoli secondari; ognuno deve essere vincente, furbo, smaliziato fino alla slealtà. Gli esempi positivi che, sempre con minor frequenza si oppongono a questa interpretazione, non godono del favore di stampa e televisione anzi, vengono sistematicamente ignorati. Non fanno notizia, accelerando così il processo di degrado a danno dei giovani, portati per natura all’ emulazione degli adulti. La scuola, gli educatori, ma soprattutto la società è impegnata a invertire questa pericolosa deriva se si vuole sperare in prospettive più serene e credere in un futuro di valori condivisi.


Terni, 5.04.2013


Ing. Giocondo Talamonti