Intervento Assemblea dell’Anmil
12 ottobre 2008

L’anno scorso il Presidente dell’Anmil nel suo intervento, a proposito degli incidenti sul lavoro, si poneva il problema della difficoltà economica della famiglia per la perdita dell'unico produttore di reddito; ed ad esso le Istituzioni hanno dato risposta : la Regione dell’Umbria ha istituito un Fondo di emergenza per le vittime di incidenti mortali sul lavoro, con una legge approvata nel febbraio 2008).

Inoltre, ci si sta organizzando, insieme alla Prefettura, per dare , in fase di emergenza, una accoglienza soddisfacente alla famiglia attraverso una serie di servizi .

Ma, al di là di questo, la parola d’ordine è sconfiggere le morti bianche e prevenire gli infortuni sul lavoro.

I numeri che si registrano sono equiparabili ad un bollettino di guerra:
• 820 morti
• 820.094 infortuni
• 20.502 invalidi

(1328 : milletrecentoventotto morti ogni anno. è la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005:
Poco meno di 4,5 morti al giorno . Nel 2006, 1280 'morti bianche'. per il 2007 il contatore, che riprendiamo dal sito di 'articolo21', si è fermato ben oltre i mille morti. il dato finale, che avremo fra qualche mese, non sarà diverso dagli anni precedenti. questo succede in Italia, uno dei paesi più ricchi al mondo.)

Sì, 820 persone hanno perso la vita nello svolgimento del loro lavoro, dall’inizio di quest’anno ad oggi. Nonostante le leggi di tutela, il trend continua a mantenersi su livelli inaccettabili per un paese civile. Ed allora, occorre intensificare i controlli, monitorare le situazioni di rischio, incidere nella diffusione della sicurezza come cultura presso la pubblica opinione.

Il Testo Unico sulla sicurezza è una tappa importante, perché introduce novità che interessano tutti i settori e tutti i lavoratori, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto di lavoro.

In esso troviamo la lotta al sommerso e al lavoro irregolare, che sono tra le principali cause degli incidenti e degli infortuni, proprio perché è proprio lì che le condizioni di salute dei lavoratori sono spesso poco tutelate o del tutto ignorate. Viene tutelato, oltre al lavoro subordinato, anche il lavoro flessibile ed autonomo.
Viene riservata una particolare attenzione ad alcune categorie di lavoratori come i giovani, gli extracomunitari, i lavoratori avviati con i cosiddetti contratti interinali, e ad alcune lavorazioni tristemente note per la loro pericolosità, come ad esempio quelle svolte nei cantieri.

Il provvedimento impone responsabilità alle aziende che ricorrono a sub appalti, introduce, infatti, norme che riconducono la responsabilità della sicurezza, e quindi degli eventuali infortuni, all’azienda appaltante e non più solo a quella sub appaltatrice. Sono previste sanzioni rigorose, un coordinamento nella vigilanza e una campagna di informazione e di formazione.

Viene valorizzato il ruolo della bilateralità tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali nella definizione degli aspetti organizzativi e in materia di piani per la sicurezza, anche come supporto ai datori di lavoro per l’adempimento degli obblighi di sicurezza per il miglioramento delle tutele negli ambienti di lavoro.

Un ruolo fondamentale viene poi affidato alla formazione come strumento di prevenzione e di tutela.Ma il testo Unico, seppure rappresenti un notevole contributo alla lotta contro le morti bianche, non è la soluzione del problema, il primo passo per una efficace prevenzione si origina nella consapevolezza e valutazione individuale del rischio.

Fare prevenzione costa, a qualsiasi livello: ai datori di lavoro nell’adottare le misure prescritte, agli addetti ai controlli in termini di risorse umane e finanziarie, alle vittime e alle famiglie eventualmente colpite da infortuni, ma se non passerà l’idea che la vita di chiunque presti un servizio alla società vale molto di più, rispetto ad un mero calcolo o atteggiamento utilitaristico, le statistiche continueranno a registrare schiere di morti, di invalidi, di infortunati.

Sicurezza come cultura, quindi, senza tralasciare verifiche sistematiche sui cantieri e formazione dei lavoratori. Muoversi in tal senso è il compito che ogni istituzione si deve prefissare, ma il suo esempio deve essere accolto a tutti i livelli della vita comunitaria.

Il Comune di Terni collaborerà per la riuscita di tutte le iniziative tese a creare la cultura della sicurezza attraverso l’informazione e la formazione per rispondere concretamente all’atto di indirizzo n.87 del 16.04.2008 del Consiglio Comunale;
mantenere gli impegni presi nel protocollo d’intesa, sottoscritto il 1.02.2008, per la pianificazione degli interventi in materia di sicurezza sul lavoro nell’ambito degli stabilimenti di Terni della Tk-Ast; promuovere iniziative atte a trovare, insieme a tutti i soggetti interessati un approccio nuovo teso ad arginare il fenomeno degli incidenti negli ambienti lavorativi.

Pubblicherà, quanto prima, gli atti del convegno Cultura della legalità e sinergie per la sicurezza sui luoghi di lavoro, organizzato il 26 maggio 2008, per fornire punti di riferimento utili ad analizzare ed approfondire il problema, non solo con gli studenti, ma anche con i lavoratori.
Il 21 novembre sarà presentato presso “Palazzo Primavera” e l’occasione servirà a fare il punto sulla situazione.

Arrivederci a presto augurandoci che il numero degli incidenti sul lavoro inizi a diminuire di pari passo con l’informazione e la formazione.
Giocondo Talamonti

CIAO LUCIANO…






Ricordare la figura di un amico scomparso è sempre compito ingrato.
Chi legge è interessato agli aspetti professionali del defunto, chi scrive, al contrario, a quelli emotivi.


Guai se non fosse così. Nel caso di Luciano so già che gli farò torto dei grandi meriti che si è guadagnato in seno alla CAF della F.I.A.S.P (Federazione Italiana Amatori Sport Per tutti); torto che so di bilanciare con l’enorme affetto che gli ho riservato.Ammiravo la sua innata capacità di fronteggiare le situazioni più complicate.Sapeva districarle con la chiarezza della logica, con la forza della deduzione, semplificandole fino a ridurle a banalità.


Non si fermava neanche di fronte a quelle che un normale individuo definirebbe insormontabili, come esprimersi in una lingua straniera sconosciuta.
Ricordo che si trovò a farlo in più di un’occasione nel corso dei tanti viaggi all’estero fatti in sua compagnia.


Nonostante sapesse un inglese improbabile, si buttava in colloqui ermetici con interlocutori che restavano perplessi, se non di sasso e quando non sapevano che cosa rispondere, per il fatto di non aver capito niente, la conclusione di Luciano era sempre la stessa: “ Questo non sa dove sta di casa l’inglese”.
Dire che mi legava a lui solo l’affetto, significa non riconoscergli il profondo senso di stima che provavo nei suoi confronti.


Ho sempre apprezzato la sua coerenza, sia pratica che politica, le scelte quotidiane e lungimiranti, dimostrando a sé e agli altri i risultati delle sue ragioni.
Abbiamo condiviso gli stessi principi etici, abbiamo scoperto insieme che essi potevano collimare con la stessa fede politica e che soprattutto valeva la pena battersi ogni giorno per difenderla e divulgarla, perché solo così facendo si partecipa alla costruzione di un società migliore.


Mi mancherà, tuttavia, l’amico. Quello con cui ti confidi senza riserve, quello in cui riponi pensieri e preoccupazioni che non ti capiterà di dire mai ad un famigliare.Aveva un difetto, anzi un debolezza: l’ostinazione a fumare. Lo mettevo in guardia e lo spaventavo sulle conseguenze. “Non morirò mai per il tabacco”, mi rispondeva con la sicurezza di chi aveva già visto il film della sua vita.


E ha avuto ragione anche in questa occasione; almeno in parte. Mi mancherà quella sua disponibilità ad aiutarmi, la prontezza a sostenermi nei progetti, la sua misurata saggezza e l’acume nell’individuare il percorso opportuno da seguire nel dipanare i grovigli giuridici.Largamente conosciuto nella città, lascia un vuoto incolmabile tra gli amici, un baratro fra i famigliari.


Ma non mi consola il fatto di essere in tanti a condividere la pena.
Mi mancherà.


Giocondo Talamonti



No, Oscar Pistorius non è un alieno. Anche se, quando corre in pista non lascia orme umane.


Di umano, invece, ha l’ostinazione a negare che la vita gli abbia tolto qualcosa, e a dimostrarlo a lei, prima che agli uomini.
Una tesi, la sua, quasi indifendibile agli occhi dei più, perché lo obbliga all’evidenza di due protesi applicate su due monconi e che fanno leva su una volontà di ferro.


La sua personale battaglia l’ha già vinta, e poco importa se riuscirà o meno a partecipare alle Olimpiadi di Pechino.Non è contro i “normodotati” che vuole misurarsi.Semmai contro un destino infame, nei cui confronti non vuole cedere di un “passo”.


In questa sua lotta, Pistorius ha dato vita ad una serie di interrogativi d’ordine sociale, sportivo, etico, tecnologico e perfino etimologico.
Che significa, infatti, essere “normodotati”?
C’è da chiedersi se il termine definisca individui che dispongono di strumenti naturali per compiere una data azione, oppure se fa riferimento alla capacità di svolgere una attività “normale” indipendentemente dai mezzi utilizzati.


Per assurdo, perché considerare “normodotata” una persona che si sposta in macchina per percorrere spazi che potrebbe coprire a piedi?
Non sono protesi la racchetta da tennis o la mazza da baseball, il fioretto o l’asta nell’atletica, la moto o il cavallo, la bici o gli sci?
Il fatto è che a partorire il termine siano stati proprio i “normodotati”.
I quali sono prodighi di definizioni pseudo- etiche, come “diversamente abile”, “portatore di handicap”, “disabile”, per marcare una differenza esteriore, piuttosto che sostanziale dell’uomo e a creare categorie, gruppi, settori.


Questi maestri della discriminazione annacquata non possono accettare che venga contaminato lo Sport da chi non ha diritto ad accedervi in virtù della diversità.Era successo anche ad Hitler in occasione delle Olimpiadi di Berlino, del 1938 di assistere alle quattro medaglie d’oro dell’americano James Owens, uno spudorato negro intenzionato a mettere in crisi la superiorità della razza ariana.



Quando avremo il coraggio di dire che lo sforzo dei tanti Pistorius che popolano il mondo non è solo un esempio di coraggio, ma un concreto diritto a partecipare alla vita?


Se tutti saremo in grado di misurare il valore di un’impresa sportiva nelle sue valenze emotive e dare maggior peso all’impegno dell’uomo piuttosto che al risultato ottenuto, allora saremo anche capaci di capire che il faticoso processo di “normalizzazione” avrà offerto nuove opportunità tecnologiche delle quali la società in genere potrà giovarsi.


Soprattutto, potremo sentirci parte di un comunità più umana, più giusta, meno egoista, più solidale, restituendo all’uomo la centralità universale che gli compete, liberandola dai legacci di ogni tipo di diversità, senza più distinzioni di etnia, sesso, religione, ceto e, meno che mai limitazione fisica.


Ing.Giocondo Talamonti