Il problema non si risolve con una partita a porte chiuse...

Il Milan giocherà la prossima partita casalinga ‘a porte chiuse’. La misura punitiva deriva dai cori offensivi rivolti al Napoli (udite, udite), durante l’incontro contro la Juventus. La colpa dei tifosi del diavolo viene definita “discriminazione territoriale”, in pratica un “buu, buu”, non all’indirizzo di persone di colore, ma contro connazionali differenziati dall’appartenenza geografica. 

Sembra che qualcuno del Milan Club abbia obbiettato che gli strali all’indirizzo dei campani, sebbene nella circostanza inopportuni per l’assenza degli interessati, abbiano carattere permanente negli stadi perché, da che mondo è mondo, il coro “noi non siamo napoletani” non è stato mai punito e, di conseguenza, reputato concesso.

Dalla Federazione è stato precisato che effettivamente quell’espressione non contiene offesa razziale (sic), mentre “Napoli colera” oppure “Napoli merda”, sì.

Il fatto è che noi (inteso come italioti), amiamo distinguere e non c’è materia che più si adatta alla distinzione di quella giurisprudenziale, o quella che s’applica al peso, alla misura e al tono della parola, così che non è tanto il concetto offensivo a meritare la punizione, quanto l’evocazione dei termini.

A pochi è venuto il sospetto che il problema investa l’educazione sociale. Nessuno è stato sfiorato dall’idea che le curve siano diventate proprietà esclusiva degli ultras. Solo qualcuno s’è chiesto per quali motivi le presenze di spettatori negli stadi sia rovinosamente crollata. Si pensi ,inoltre, ai disagi a cui sono sottoposti i più innocui mortali per accedere allo stadio (file interminabili ai tornelli, richieste di documenti e controlli di Check-in ) Continuiamo a nascondere la testa sotto la sabbia. Seguitiamo a far finta che tutto va ben, Madama la Marchesa. 

Il problema non si risolverà con una partita a porte chiuse o con la partita persa a tavolino, nel caso di recidiva. La mala educazione è un’infermità sociale. Anzi, un’epidemia. Ha radici nella vita di ogni giorno, si manifesta a scuola, in strada, in ufficio, in TV, dove ha spazio chi grida più dell’altro, chi impedisce all’interlocutore di esprimere le proprie idee, chi è aggressivo, offensivo, maleducato. 

Reagiamo, allora, no? 

Vogliamo dircela tutta? Beh, sono convinto che se qualcuno se ne uscisse fuori con un’iniziativa a correzione del malcostume dilagante sarebbe additato come un illuso, un povero Don Chisciotte, uno che va controcorrente solo per mettersi in vista, un rivoluzionario sognatore, un visionario pacifista, un dispensatore di valori gratuiti. Insomma per uscire dalla categoria ristretta in cui ci si trova relegati, occorre ancora una volta richiamarsi al ruolo educativo che può essere espletato dalla famiglia, dalla scuola, dall'associazionismo sportivo e culturale. La strada è irta di difficoltà, ma ci dobbiamo provare...sempre.


Terni, 11 ottobre 2013


Giocondo Talamonti