Per quante cure si prendano e misure s’adattino, il calcio italiano continua nel suo andamento schizofrenico. Il pietoso spettacolo offerto dagli spettatori prodighi di fischi all’indirizzo di Balotelli, la dice lunga sulle riserve mentali e sui pregiudizi che s’annidano nelle coscienze di tanti in tema di razzismo.
La vittima, solo un diciannovenne, reagisce con la maturità di chi stoicamente è abituato a subire la violenza e trascinarsi dietro l’arroganza storica di ottusi violentatori dell’intelligenza, affidando ai gol la speranza del suo personale riscatto.
Anche a un alieno è tacitamente riconosciuta l’appartenenza alla nazionalità italiana purché domini nella sua disciplina; gialli, negri, arabi così così, resteranno sempre gialli, negri, arabi, tutti invariabilmente così così.
Per restare alle intemperanze sportive, la cronaca settimanale ha registrato un fatto eclatante: la reazione scomposta di Buffon, lesto a menar le mani contro i colleghi interisti.
Il capitano della Juve, dimentico forse di esserlo anche della nazionale italiana, s’è lasciato andare a una reazione scomposta che, di per sé, non sarebbe gravissima, per quanto antisportiva, visto che qualche buona ragione poteva accamparla, ma deleteria sotto il punto di vista dell’esempio ai più giovani.
Questi personaggi, che meritatamente rappresentano esempi di abilità sportive, dovrebbero essere consapevoli che il rilievo sociale di cui godono li obbliga a una coerenza e a una compostezza comportamentale. I più giovani fanno presto a giustificare le proprie liti in campo, se anche Buffon tira cazzotti nel suo.
Messaggi violenti che partono da miti dello sport, finiscono per essere comunicazioni pericolose e rischiano di cancellare i continui sforzi che allenatori, insegnanti e adulti coscienti fanno per educarli.
Sempre per restare nella cronaca, in un campetto di Roma, che vedeva schierate due squadre di mini-calciatori (7 anni), gli spettatori, costituiti dai soli genitori dei bambini, si sono azzuffati indecorosamente, ricevendo una lezione di vita dai figli che hanno smesso di giocare, per tornarsene negli spogliatoi.
Una punizione esemplare che aiuterà a far crescere gli adulti.
Hanno smesso di giocare anche i difensori dell’Ascoli Calcio, nell’incontro che li vedeva opposti alla Reggina, consentendo agli attaccanti avversari di ripristinare il risultato di parità rotto da un gol segnato approfittando del fatto che un giocatore reggino era a terra infortunato.
L’ordine ai suoi di assistere imperterriti alla segnatura è arrivato dall’allenatore ascolano, Pillon, con l’idea di ristabilire un principio di equità nella convinzione di aver rispettato anche la sportività. Non è così, purtroppo. Non è un esempio di lealtà il gesto riparatore.
Ne esce male anche l’arbitro, costretto ad avallare un pentimento tardivo, arrivato dopo varie scorrettezze in campo, scontri fisici e simulazioni. Da punire c’erano solo i due autori del gol segnato in assenza di sportività, a riprova che ogni occasione è buona per ottenere un utile personale e che si può far finta di non aver visto l’avversario impossibilitato a lottare, o tapparsi le orecchie per giurare di non aver sentito neppure gli avvertimenti dei colleghi.
Si riuscirà mai a capire che un incontro di calcio, al quale assistono tanti giovani emuli, deve imporsi, prima del risultato, l’obbligo di offrire uno spettacolo di lealtà sportiva, che la ragione di un confronto risiede sempre nel rispetto delle regole del gioco, che il ricorso a scorciatoie è sempre un esempio pessimo per chi assiste e per chi pratica uno sport, che è una tacita accettazione di ogni altro mezzo illegale per raggiungere comunque un obiettivo?
L’esempio più costruttivo è venuto dai ‘pulcini’, rivolto a genitori rissosi e ottusi, così come a chiunque altro sa che esiste bontà nella natura e nell’istinto degli uomini, almeno da piccoli. L’unico rammarico è che crescono in fretta.
Giocondo Talamonti