Punire chi bestemmia… carenza educativa di famiglie, scuola e società
Come una maledizione biblica, che periodicamente s’abbatte sull’umanità per ripristinare valori e principi perduti, così anche il calcio è percorso da flagelli ricorrenti di differente natura nel tentativo disperato di correggere le debolezze del sistema.
Che si chiamino scommesse, falsificazioni di documenti, maneggi moggiani, compravendite di partite, di arbitri, di violenze ultras, poco importa. L’effetto è comune: al pari degli uomini che seguitano a rincorrere peccati e perdoni, altrettanto avviene nel mondo del pallone fra perdite di credibilità e soluzioni incerte.
Tutte le misure intraprese di volta in volta, per bloccare nelle intenzioni i vari danni d’immagine fatti allo sport più popolare del mondo, hanno sistematicamente l’effetto che tutti vogliono; cioè nessuno.
Se oggi i dirigenti nazionali hanno ancora a che fare con le scommesse truccate di Gallipoli, se devono affrontare problemi d’ordine pubblico con gli ultras laziali, fiorentini, napoletani, romanisti, se non si sa come fermare l’ondata razzista, se ancora su trecento campi di calcio, equamente distribuiti lungo la Penisola, gli arbitri vengono settimanalmente picchiati, se nonostante i tornelli, i controlli agli ingressi, i biglietti nominativi ancora non si riesce a bloccare gli esagitati domenicali, beh, allora vuol dire che qualcosa di sbagliato c’è.
E, quando il pesce puzza, è la testa che emana il fetore peggiore. Ma il riferimento non è ai capi pallonari; piuttosto, si rivolge alla società bacata che, da più fronti, alimenta atteggiamenti aggressivi, minacce continue, propositi devastanti.
Molto dipende dall’errato presupposto di concepire lo sport come una valvola di sfogo alle tensioni sociali e personali, avvalorando l’idea che prendere a “paraculate” l’arbitro almeno una volta alla settimana, meglio se due o tre, faccia bene alla salute. Una terapia siffatta, soggetta di per sé ad allargarsi a giocatori, presidenti, poliziotti, avversari è l’addestramento gratuito alla violenza, meritevole di comprensione sociale, perdonismo da tifo, accondiscendenza benevola da parte della pubblica opinione, salvo poi, svegliarsi di botto e prendere atto che le vittime sistematicamente prodotte dal sistema avrebbero meritato un invito alla prudenza.
Abete intende, giustamente, punire chi bestemmia in campo riattivando la prova moviola, dimenticando che la punizione non modificherà atteggiamenti analoghi in futuro. Ancora una volta, si fa finta di ignorare che il problema risiede nella carenza educativa di famiglie, scuola e società, e che quelle intemperanze sono sintomi di violenza, di sopraffazione e che si è persa l’abitudine a controllare civilmente il dissenso e la propria opposizione.
Che ci si deve aspettare, d’altronde, dalle manifestazioni di opinioni personali da contrapporre a quelle degli altri se giornalmente in televisione si assiste al turpiloquio, all’offesa continua, alla volgarità becera di sopraffare l’interlocutore alzando la voce?
Nessun comportamento sociale è avulso dal tempo che lo vive. Tant’è; né basta il richiamo alla moderazione di una voce che si perde nel deserto. O siamo tutti a reagire oppure teniamoci, come ogni popolo, il re che si merita.
Giocondo Talamonti