Al rammarico per l’eliminazione dell’Italia dai mondiali di calcio si aggiunge l’amarezza per come la débȃcle sia maturata. In sostanza, una specie di resa incondizionata, l’accettazione tacita della sconfitta aggravata da una preoccupante assenza di valori, evocatrice di menefreghismi e spallucce.
L’immagine che fotografa il fallimento è quella di Balotelli che esce dallo spogliatoio con le immancabili cuffie in testa e ciondolando sale sul pullman, come alla fine di un allenamento.
Senza concentrare su un solo giocatore le colpe di tanti, dirigenti compresi, viene spontanea una riflessione: per un atleta che partecipa a una competizione nel nome di una nazione l’impegno dovrebbe essere massimo, la concentrazione inflessibile, l’orgoglio appagante.
Non ha l’obbligo di vincere ad ogni costo, ma il dovere di onorare i valori distintivi non dovrebbe essere messo in discussione.
Ecco, di questo patrimonio identificativo si sono perse le tracce. Nello Sport questo tipo di carenze sono più facilmente quantificabili, ma ogni settore della vita sociale denuncia palesi mancanze.
L’assenza di ideali condivisi s’avverte minacciosa nella politica, nella cultura, nei rapporti interpersonali. Tutto sembra improntato a soddisfare esigenze individuali e tornaconti egoistici.
Il calcio è per antonomasia un gioco di squadra, la rappresentazione speculare dell’organizzazione di una società, dove ciascun giocatore è chiamato a dare un contributo specifico, secondo le sue caratteristiche, qualità e potenzialità, per realizzare un disegno che torni utile alla comunità in cui opera.
L’impegno nello svolgimento del suo compito deve essere totale, chiamato come è a difendere, prima che i propri interessi, quelli affidatigli da chi, insieme a lui, condivide le stesse idee, regole e comportamenti.
I giocatori italiani sono venuti meno a questo dovere perché i valori comuni sono deboli e l’esclusione è un sintomo preciso del malessere sociale che stiamo vivendo nel Paese: difficoltà economiche e occupazionali, ideali vaganti e smarriti, onestà civica e morale latente.
Necessita una riconversione degli obiettivi comuni, un disegno programmatico di ricostruzione etica, una volontà di riscrivere riferimenti che valgano per tutti.
La scuola e la famiglia hanno obblighi gravosi nella realizzazione di un simile progetto, ma è anche la coscienza civica di ognuno di noi che deve collaborare allo scopo.
Si ricominci da uno Sport privo di interessi economici e commerciali; uno Sport che guardi alla salute dei praticanti, alla non competitività delle manifestazioni, a valorizzare gli ideali che la pratica sportiva ha insiti nella sua essenza. Sarà più facile inculcare principi sani nei giovani, richiamare gli sportivi ai valori di lealtà, alimentare l’orgoglio di essere scelti in rappresentanza di un popolo, battersi per far prevalere, in un onesto confronto, le proprie capacità e qualità.
Saremo così forti da crederci?
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Giocondo Talamonti
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