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IMMORALITA’ NELLA SOCIETA’ E NELLO SPORT
Dalla “Repubblica” del 6 ottobre, si apprende che Ettore Torri, capo della Procura antidoping del Coni, ha gettato la spugna. Ha rinunciato ad anni di lotta, a speranze spesso frustrate, a miriadi di tentativi di imporre la legalità nello sport in genere e nel ciclismo in particolare.
Indubbiamente, si tratta di una rincorsa continua, senza neppure un attimo per riprendere fiato, sistemi di analisi sempre più sofisticati per individuare sostanze proibite occultabili e occultate. Ha dichiarato che tutti i ciclisti si drogano, che la punizione di uno avvantaggia solo i ciclisti non denunciati, per i quali è un premio vedersi sottrarre concorrenti agguerriti. La rassegnazione arriva a deprimere chiunque concepisca lo Sport come pratica formatrice dello spirito e del corpo, come esempio di lealtà, come esercizio utile a gestire sconfitte e vittorie nello storico monito decubertiano.
L'evoluzione del doping è inarrestabile: medici, farmacisti ed infermieri formano qui e là bande di dopatori sofisticati, adottano misure di assunzione inaccessibili alla verifica da parte della legge. Una contrapposizione iniqua e inutile, una lotta fra guardie e ladri, con la certezza dei ladri di farla sempre franca. Se poi qualcuno cade nella rete per ingenuità, nessun problema. Aspetterà i sei mesi, o al massimo due anni e tornerà a guadagnare come e più di prima, senza sentirsi addosso il peso della condanna morale dei fan e senza provare alcuna vergogna per la scorciatoia scelta.
Torri ha aggiunto che con la dichiarazione, secondo cui tutti i ciclisti si dopano, non intende esprimere un sospetto, ma una certezza, essendogli stata confidata dai diretti interessati.
L'UCI, per bocca del suo Presidente, McQuaid, sta nero e se la prende con il magistrato Torri, reo di non fare l'ipocrita, di alimentare l'allarmismo, di mettere a rischio la continuità di una disciplina che macina miliardi, mantiene varie industrie, fa pappare giornalisti e TV, editori e meccanici, sponsor e laboratori chimici, alberghi e dame più o meno bianche, agenzie di scommesse e, perchè no?, anche magistrati.
Da qui scaturisce la richiesta di dimissioni di Ettore Torri, giustamente condivisa dall'Accpi e CpA (Associazioni di ciclisti), dall'Adispro (Associazione di direttori sportivi) e dall'Aimec (Associazione dei medici sportivi), tutti appassionatamente uniti nel conservare il proprio lavoro (anche se sporco), a salvaguardare la propria coscienza (anche se non limpida), a continuare a credere nel valore salvifico del denaro degli sponsor.
L'impressione che la voce contraria di Torri sia l'unica nota stonata nel perfetto equilibrio d’illegalità sportiva che domina questa disciplina, dovrebbe indurre il magistrato a farsi effettivamente da parte e lasciare spazio al dilagare dell'immoralità nella società e nello Sport. Non è tempo, questo, per i martiri!
Terni, 8 ottobre 2010
Giocondo Talamonti