Ingredienti di qualità non bastano a fare un buon piatto - La pratica sportiva è esercizio d’impegno



Ingredienti di qualità non bastano a fare un buon piatto. Se si trascurano temperature e tempi di cottura si rischia di cucinare un ‘pancotto’ o di preparare un ‘tizzone’.

Allo stesso modo, non è sufficiente saper giocare al calcio per diventare automaticamente campioni; il carattere, la serietà sportiva, l’impegno, la continuità, sono elementi indispensabili a chiunque, avendo le doti di base, intende fare una professione della sua disposizione innata.

La storia del pallone è piena di esempi negativi. I meno giovani ricorderanno Nicolè, centravanti juventino dalle mille promesse, ma anche tanti altri scomparsi dal panorama calcistico prima ancora di diventarne protagonisti.
Ammoniva Franco Lelli nel suo libro “Voglio fare il calciatore” (Ed. Tagete, Viterbo) che “entrare nel mondo del calcio non è come imboccare un’autostrada, dove è sufficiente seguire le indicazioni per arrivare a destinazione”.

Sono ben altre le componenti che concorrono a delineare un campione.

Condizione, questa, non indispensabile da raggiungere, tanto che molti giocatori scelgono di vivacchiare felicemente nel grande circo del calcio, accontentandosi di un sofferto compromesso.

Balotelli rischia di rientrare fra questi, rischia di non diventare mai un campione, perché esserlo implica sacrifici e atteggiamenti che gli sono, al momento, sconosciuti.
Sfido chiunque alla sua età a contenere l’esuberanza fisica e comportamentale, ma il limite con la strafottenza e la provocazione è diventato, nel suo caso, sottilissimo.

I fischi e i ‘buuu’ che l’attaccante dell’Inter rimedia in ogni campo di calcio non sono ispirati dal colore della sua pelle, ma, soprattutto, dall’atteggiamento volutamente offensivo che assume nei confronti degli avversari. Non siamo razzisti al punto di offendere un italiano, seppur negro, e di applaudirne altri che italiani non sono.

Ma siccome l’idea di appiccicare addosso ai tifosi l’etichetta xenofoba aiuta anche a comprendere l’atteggiamento d’insofferenza generalizzata per lo straniero, insito in certe scelte politiche, ben venga il giovanottone Balotelli a fare da capro espiatorio.
Anzi, lui rappresenta proprio lo stereotipo del rigetto razziale: irruento, scorretto, violento, provocatore, nero di pelle.

C’è poi l’ala buonista dei media, quella che dopo aver infuocato gli animi, s’atteggia a dispensatrice di risolutori ‘volemose bene’. E’ la peggiore. La più pericolosa.

Dice: è insopportabile che un ragazzo appena diciannovenne venga fatto oggetto di tanto odio razziale.
Facciamo interrompere le partite dove i fischi sommergono il poveretto, dove gente irresponsabile, animata dall’odio razziale offende il valore intangibile di uguaglianza e di fraternità fra gli uomini.

E siccome la mamma dei cretini non smette mai di mettere al mondo abbondante prole, siamo arrivati al punto di assistere a cori derisori contro il ragazzino anche negli stadi dove lui non c’è.
Ma non perché è in panchina, ma anche se sta giocando a 500 chilometri di distanza. Per combattere questa logica non è sufficiente interrompere la partita, non serve multare le società, non serve caricare gli arbitri di decisioni che non competono loro e che, nel migliore dei casi li distrarrebbero dalla loro funzione principale.

Serve cambiare le teste, a cominciare da quelle che non sanno che scrivere ogni giorno sui giornali di sport per riempire le pagine, che rimestano nel fango delle debolezze dei cretini, che alimentano in modo subliminale il disprezzo ingiustificato nei confronti di una speranza del calcio, con il rischio di bruciarne ogni aspettativa.

Non è questo il messaggio che lo Sport intende diffondere.

Indichiamolo ai giovani, in famiglia e a scuola. Diciamo loro che la pratica sportiva è esercizio d’impegno, di ordine, rigore e di esaltazione fisica e mentale.

Inculchiamo nelle loro teste l’idea che nello sport, come nella vita, non esistono nemici, ma solo avversari, insegniamo loro che si può vincere e perdere, senza rinunciare alla stima di sé e che condividere con qualsiasi essere della terra gli stessi spazi e le stesse risorse significa aver compreso il ruolo che ogni uomo è chiamato a svolgere su questo litigioso pianeta.

Giocondo Talamonti