L’interrogativo che dilania i calciofili in questi giorni, è se si sia toccato il fondo o se manchi ancora qualcosa. Nell’una o nell’altra ipotesi lo sfascio non ha solo prosciugato i bilanci delle società calcistiche, ma ha decretato la fine dei valori sportivi, sepolti sotto una coltre di soldi virtuali, dopo essere stati spazzati via dal vento gelido dell’egoismo e dell’ingordigia.


Giocatori assunti a divi senza palle, schiere di nullafacenti a mendicare un ruolo, procuratori- imbonitori dall’appetito atavico, mezzeschiappe sedute al banchetto delle scommesse, presidenti sull’orlo del fallimento, arbitri compiacenti, veline sculettanti in attesa di sistemazione, popoli di tifosi usati come comparse. Insomma, una massa di addetti ai lavori o semplici spettatori, ignari o coscienti di accompagnare il feretro del calcio verso l’ultima destinazione.


Ai giovani, che di questa messinscena mediatica sono le vittime sacrificali, occorrerà che qualcuno apra gli occhi e che li inviti a leggere le verità nascoste dietro il fumo denso del tifo. L’ha fatto Ciampi, dicendo che i miliardi di euro televisivi hanno finito per sconvolgere il già precario equilibrio di un mondo fragile nei personaggi e nei progetti.


Non è questo lo Sport e non è nemmeno il ciclismo o tutte quelle discipline che pensano di bypassare i valori della partecipazione, dell’agonismo e del sacrificio personale, senza essere animati dal solo salutare desiderio di sconfiggere un avversario nel rispetto delle regole del gioco e dell’etica sportiva.


Le Olimpiadi di Atene devono ripristinare nella coscienza di ciascuno i principi di lealtà persi nel corso di millenni spesi alla ricerca del miglioramento dell’uomo, ma il rischio di cecità è destinato a persistere se si omette di educare le giovani generazioni alla cultura dello Sport.


E’ un compito che compete a chi più giovane non è, alle famiglie, alla scuola, ai docenti, ma anche ai mezzi di comunicazione, stampa e televisione che devono ricondurre l’evento sportivo nei canoni di uno spettacolo retto da norme di dignità individuale e collettiva, dove prevale chi merita per caratteristiche fisiche, psichiche e morali.


Il degrado cui siamo obbligati ad assistere giornalmente ha il potere di allargare la sua forbice distruttiva sugli elementi più deboli della comunità, innescando meccanismi pericolosi per l’ordine pubblico e per i canoni sociali, alimentando la violenza, e giustificando l’illecito in presenza del profitto.


In tale contesto lo “Sport per Tutti” acquisisce un’importanza basilare; non è una lotta contro i mulini al vento, ma un esempio concreto di come dare il giusto peso allo Sport, se con esso si intende il miglioramento di se stessi nelle prestazioni fisiche e nella considerazione degli altri.


Terni, 21 luglio 2004

Giocondo Talamonti

CREDERE IN UN MONDO MIGLIORE…SEMPRE



Mi sarebbe piaciuto che si fosse realizzata almeno una delle speranze che avevo riposto in questo 2003, quando mi sono rivolto ai Lettori di “Sportinsieme” nei saluti di fine anno. Se possibile, il quadro mondiale è ancora peggiorato: la guerra in Iraq, l’escalation mediorientale, le difficoltà fra Europa ed America, gli effetti della crisi sud-americana, il divario crescente fra paesi ricchi e poveri, per non parlare della miriadi di conflitti sparsi sulla terra.


Ogni settore di attività che veda l’uomo protagonista, nel bene o nel male, sembra orientato all’egoismo e alla violenza.
Non ultimo quello dello sport, costretto ad annoverare nella cronaca del 2003 i fatti cruenti di Avellino, emblematici della perdita collettiva di valori, o la recrudescenza di casi di doping nel professionismo.


Segnali che scuotono la coscienza di chi lotta per migliorare ogni giorno se stesso e gli altri e che minacciano di gettare sconforto nei propositi di quanti si impegnano per vedere intorno a sé un mondo più giusto.
Penso alla disperazione degli immigrati, pronti a sacrificare la vita solo per continuare a sperare nell’accoglienza di popoli più fortunati, alla loro umanissima aspirazione a credere nella solidarietà dei loro simili, alla volontà di offrire ai propri figli prospettive di vita che si coniughino con la dignità di ogni essere.


Il clima prenatalizio è di per sé lo stereotipo delle buone intenzioni.
In questo scorcio di anno nessuno si sottrae dall’accattivante esercizio della bontà e di mostrarsi generoso con chi soffre, riducendo l’attenzione ad un gesto troppo spesso egoistico.
E’ un atto ideologicamente involuto di scendere a patti con la propria coscienza, una ipocrisia collettiva che offende chi si dedica ogni giorno dell’anno alle cure dei più deboli.
Ma non si deve abbandonare la forza di credere che il mondo possa essere regolato da maggiore equità, specie se si impronta la vita a norme sociali più rigorose nei confronti dei nostri simili e se si è capaci di darsi orizzonti più ampi rispetto all’occlusione di interessi individuali.
Noi fiaspini siamo educati a questo; sentiamo di far pratica sportiva ed etica in ogni manifestazione.
Ci sentiamo protagonisti ed autori di un programma di vita che, insieme alla salute, coltiva le relazioni interpersonali, dando loro dignità e forza.


Concludo con l’invito ai fiaspini di mantenersi fedeli a questi principi, rinunciando a segnali di speranza, solo per il timore che si perdano nell’indifferenza dei più, ed auguro ai lettori di dividere con la propria famiglia la serenità e la forza di continuare a credere in un mondo migliore.

Ing. Giocondo Talamonti