IERI, COME OGGI…la violenza sulle donne


I numeri sono allarmanti. La violenza contro le donne è un reato ignobile, soprattutto perché consumato al riparo delle pareti domestiche. Poco è cambiato nel tempo.

Ieri, come oggi, continuano i soprusi nascosti alla vista degli “altri” non tanto dai muri, ma dall’inesauribile capacità femminile di perdonare i violentatori nella remota speranza di difendere l’unità della relazione, l’interesse dei figli, nella fiducia, sistematicamente tradita, del ravvedimento del marito-padrone.

Una donna su tre è oggetto di violenza fisica o psicologica; un accanimento che ha origini antiche e che la moderna cultura non è riuscita a estirpare.
Le ragioni risiedono in una differenziazione del ruolo sociale assegnato dalla genetica e dalla società ai due sessi, impostato su una presunta supremazia del maschio, autorizzato, così, a esercitare anche fisicamente le ‘leggi’ del dominio. Nonostante le vicende dell’umanità siano tutte orientate a indicare come gli avanzamenti si realizzino con l’apporto di ambedue i sessi, la diversità fisica segna una separazione di valenza animalesca, fino a manifestazioni aggressive per le quali ogni maschio deve, oggi, provare sincera vergogna.

Dualismi e diversificazioni sono alla base di ogni discriminazione. Che si applichi al sesso, alla razza, al colore, al censo, alle religioni o alle idee, l’irrinunciabile impulso a distinguere è all’origine di conflitti violenti.
Se nell’attuale società, che ci ostiniamo a chiamare moderna, persistono ancora spinte del genere, significa che poco si è fatto a livello culturale e di educazione nella costruzione di una organizzazione sociale più equa.

L’uomo è forse il più spietato essere dell’universo nel difendere il territorio e l’idea di supremazia nei confronti di chiunque.

In ogni civiltà, gli esseri umani si sono divisi in nazioni, in popoli, in razze, in tribù, cercando, dove possibile, di far proprio ogni ulteriore elemento distintivo e settario per dichiarare diversi gli altri e porsi fra i diversi.

Questa istintiva tendenza, utile a farlo sopravvivere ai pericoli veri o presunti che la storia gli ha fatto incontrare nel lungo percorso della sua evoluzione, si manifesta quasi intatta nell’organizzazione sociale odierna.
In tale disegno egemonico la violenza sulle donne è l’atto più meschino, il più avvilente, il più aberrante perché consumato nei confronti di chi è più debole, più remissivo e meno strutturato a difendersi.

L’odierna informazione di massa non aiuta le giovani generazioni a imboccare la strada del cambiamento: la mercificazione del corpo, come appare nei media, la funzione puramente estetica in cui la donna è stata relegata, rendono difficile la sensibilizzazione dei ragazzi verso la pratica del rispetto e l’esercizio di valori che dovrebbero essere universalmente condivisi.

Il primo passo per il riconoscimento del ruolo femminile in una comunità evoluta ha una chiave interpretativa unica: il rispetto; atteggiamento che presuppone una pratica costante, un’attenzione continua, capace di elevare un valore sociale, a principio e fine educativo. Si tratta di un procedimento lungo, complesso e non demandabile a un solo formatore sociale, ma a ogni componente responsabile della crescita di una comunità.

Le priorità di intervento devono essere chiare e accettate come impegno della collettività: in famiglia prima che a scuola, a scuola prima che nella società, la quale dovrà disporre di leggi severe per i trasgressori e fissare i limiti entro cui le funzioni relazionali fra uomo e donna devono realizzarsi per trovare compimento nella crescita armonica del contesto sociale in cui si vive.
Ciascuno è chiamato a svolgere la sua parte, promuovendo gli atteggiamenti opportuni per uno sviluppo armonico in ogni fase dell’organizzazione sociale e condannando le manifestazioni incoerenti con i principi formativi dati.

E’ avvilente riconoscere che i segnali in tal senso sono deboli; ma se la speranza di invertire la rotta si scontra ancora con retaggi ancestrali e con colpevoli disimpegni, singoli e collettivi, l’obiettivo di perseguire progetti di avanzamento sociale non deve sfuggire a nessun adulto, perché investe la sua dignità di essere umano caricato del compito di trasmettere nel tempo i più scontati principi di civile convivenza.

Giocondo Talamonti