Nubi minacciose si addensano in Italia, in Europa e nel mondo. È l’effetto concomitante di spinte inflazionistiche dettate da fattori, ideati, voluti e realizzati dall’uomo. In primis la guerra, con i suoi morti, distruzioni, penalizzazioni economiche, sanzioni e veti. Tutto questo s’è portata dietro la crisi del grano, ancora in attesa di soluzioni. Il grano marcisce nei depositi portuali ucraini, incurante dei tempi necessari a ricomporre le controversie internazionali. S’aggiunga al quadro già tragico l’azione speculatrice delle parti in causa. L’Ucraina produce 26 milioni di tonnellate di grano all’anno, cioè meno del 4% del totale mondiale che è pari a 750 milioni di tonnellate. Cina, India e Russia sono, invece, paesi leader nella produzione e rappresentano insieme circa il 42% della produzione mondiale di grano. Eppure, dalle informazioni che riceviamo sembra che l’Ucraina sia l’unico esportatore di grano. Fa la sua parte deleteria la crisi energetica, per certi versi incomprensibile in tutti i suoi aspetti, ma che impone a Paesi e Unioni di prendere contromisure per evitare simili situazioni nel prossimo futuro. Il quadro alimentare già compromesso dalla guerra s’aggrava sulla spinta dei cambiamenti climatici e della siccità: le temperature globali medie sono aumentate considerevolmente rispetto ad un secolo fa. Tutto quanto sopra esposto si traduce nell’impoverimento dei salari e pensioni, situazione particolarmente accentuata in Italia, ancorata a parametri non più accettabili, considerato che la capacità di acquisto dei salari è ferma a quella di trent’anni fa. Attualmente, in Italia, l’inflazione è salita all’8%, rendendo insostenibile la capacità delle famiglie di mantenere livelli di vita già di per sé penalizzati e penalizzanti. Lo Stato è obbligato a indirizzare le risorse di cui dispone al contenimento di specifici settori energetici, come luce e gas e lo fa sottraendole ai settori produttivi dell’economia, per cui, se da un lato le bollette dell’elettricità e del gas godono di sconti alla fonte, dall’altro sottrae risorse vitali per la salute economica del Paese. Il meccanismo che sta alla base dei rincari è doppiamente gravoso perché tiene conto del “timore” della perdita del potere d’acquisto, prima ancora che dell’entità inflazionistica reale. È un po’ il cane che si morde la coda. Gli analisti sono convinti che la crisi attuale si manifesterà in tutta la sua drammaticità nel prossimo futuro. E allora il problema sarà non più il costo del lavoro, ma il lavoro stesso. La politica deve aver presenti obiettivi e temi che la realtà attuale le sottopone. Non può soffermarsi alla soluzione di aspetti che con economia, lavoro, produttività e ordine sociale sono in sottordine.
Giocondo
Talamonti