La ricerca delle origini della Festa della Donna, di recente istituzione, è già di per sé una triste discriminazione. Fin nelle intenzioni. E’ doveroso chiedersi dove sia l’opportunità di una Festa dedicata, aldilà della buona volontà di premiare il sacrificio silenzioso di generazioni di mogli, madri e nonne speso a fianco di compagni così immeritevoli di tanta dedizione. Il riconoscimento ufficiale dell’abnegazione muliebre data il 1908, allorquando un gruppo di operaie di un’industria tessile americana rivendicò, scioperando, migliori condizioni di lavoro. Per fiaccare la resistenza delle donne, decise ad astenersi ad oltranza da qualsiasi attività e determinate a non abbandonare il posto di lavoro, la direzione pensò bene di bloccare le uscite della fabbrica. Un incendio scoppiato all’interno della struttura fece, in tal modo, 129 vittime. Non certo le prime a cadere nel nome del diritto ad pretendere migliori condizioni di lavoro, né saranno le ultime a tracciare con il sangue la rivendicazione di dignità e rispetto.
I passi in avanti sulla strada dei diritti umani e, in particolare, dei diritti delle donne, protagoniste indiscusse dell’armonia domestica nei più diversi contesti geografici, non sono ancora gran cosa. Non sono sufficienti gli scarsi progressi a tacitare la coscienza dei maschi; prova ne è il fatto stesso che si debba ricorrere a individuare un giorno dell’anno per rispolverare valori e considerazioni a vantaggio della donna,quando dovrebbero essere materia di quotidiana pratica. Non esiste una Giornata dell’Uomo. Non ce n’è bisogno; nonostante restino insoluti tanti temi legati alla sua dignità. C’è, al contrario, la Giornata della Donna che, ogni 8 Marzo, si accolla il compito frivolo di contentare le attese di madri, fidanzate e mogli. Le stesse donne vi partecipano con scarsa convinzione, coscienti che non è nella commemorazione di un giorno la compensazione di ingiustizie storiche, patite in millenni di sopraffazione e violenza.
Oltre centotrenta donne ogni anno in Italia, pagano con la vita il loro debito di disponibilità alla famiglia, il cieco amore ai figli, la convinzione storica che solo nel silenzio di sofferenze domestiche e nell’abnegazione al marito risieda il giusto equilibrio del matrimonio. Una sana unione di coppia ha bisogno di reciprocità, in amore e rispetto, in considerazione e sacrificio.
Non sembra vedere segnali che aiutino a individuare cambiamenti radicali in tal senso. La donna ha il compito della sottomissione, quasi fosse trattenuta da un giogo, piegata alla volontà del capofamiglia.
Le conquiste che faticosamente pavimentano come tante pietre la strada lunghissima della parità dei diritti, completeranno il loro percorso nel momento in cui l’8 marzo non sarà più una data da ricordare, perfettamente disciolta nel raggiungimento della pari dignità fra i sessi, senza limitazioni, condizionamenti e costrizioni, anche nei confronti di ogni altro essere vivente.
Terni, 5 marzo 2014
Giocondo Talamonti