La separazione tra spesa
previdenziale ed assistenziale è fondamentale per garantire le pensioni a chi
ne usufruisce o a chi, giovane lavoratore, dovrà usufruirne.
L’assistenza dovrebbe entrare nella
fiscalità generale e non gravare sui fondi versati da chi lavora. I giovani
devono sapere che chi ha lasciato il lavoro per raggiunti limiti di età gode di
una pensione rispondente agli anni che ha lavorato e alle normative al momento
vigenti.
Delle 17.827.676
pensioni in atto al 1.1.2019, 13.867.818 sono quelle di esclusiva natura
previdenziale, cioè derivanti dal versamento dei contributi
previdenziali da parte dei percettori, durante l’attività lavorativa.
Le rimanenti, riguardanti
l’invalidità civile, le indennità di accompagnamento e gli assegni sociali, sono di natura
assistenziale, cioè prestazioni erogate per sostenere una situazione di
invalidità congiunta o meno a situazione di reddito basso. Per scendere ancor
più in dettaglio, basta osservare che ad inizio 2018, le prestazioni a favore di invalidi civili erano per
ogni 10.000 abitanti, 37,2 quelle corrisposte in Italia settentrionale, 52,2
quelle nell’Italia centrale, 66,6 quelle nell’Italia meridionale e Isole.
Il che indica chiaramente che le
prestazioni assistenziali di invalidità civile vengono erogate a titolo di
ammortizzazione sociale, soprattutto nelle regioni economicamente meno
sviluppate.
Ed allora, perché non separare la spesa
previdenziale da quella assistenziale dal momento che la prima è solo quella
che garantisce ai pensionati e garantirà la pensione ai giovani lavoratori di
oggi?
È pura
illusione?