Ma nessuno ha vinto. A perdere sono stati tutti: spettatori, forze dell’ordine, arbitro e guardalinee, organizzatori, tifosi di tutte le squadre, FGCI, Coni, Sport e Stato. Le immagini, che hanno fatto il giro del mondo, consegnando all’estero un’idea del nostro Paese debole e indifendibile, in sintonia con la crisi che lo corrode, devono essere state di conforto per i nostri vicini slavi,troppo frettolosamente giudicati barbari dai Catone di casa nostra in un’analoga occasione.
Si svolgeva a Genova la partita fra Italia e Serbia, quando un ultrà ospite,tale Ivan Bodganov, detto Ivan il Terribile, dall’aspetto inquietante ma buon conoscitore delle voragini che il codice penale italiano concede a chi fa casino negli stadi, si è permesso di sfidare le forze dell’ordine, gli spettatori e lo Stato che l’ospitava, minacciando di bloccare l’incontro.
Anche nel caso della finale di Coppa Italia, l’inizio del match è stato deciso non dall’arbitro, non dal prefetto, non dalla FIGC, non dai team in campo, ma da Genny ‘a Carogna, capo ultrà napoletano con il quale si sono consultati il capitano del Napoli, Hamsik e le forze di polizia nello stadio. Avuto il suo assenso e accertato che la sparatoria che aveva fatto una vittima napoletana non era imputabile alla tifoseria fiorentina, i milioni di telespettatori hanno potuto assistere all’incontro.
Prima dell’inizio, i presenti all’Olimpico hanno manifestato il loro dissenso per l’umiliante spettacolo, seppellendo di fischi un Inno di Mameli diffuso dalla voce di una poco convinta cantante, unica a tentare di spargere orgoglio su una scena divenuta paradossalmente irreale. In quei fischi, i più hanno immaginato di stringersi in un solo abbraccio di speranza. In quei fischi i più hanno immaginato di accomunarsi a difesa di libertà e diritti. In quei fischi i più hanno immaginato di ricreare credibilità nei valori dello Sport in genere e del calcio in particolare, così sciattamente consegnati nelle mani di agitatori di bandiere lacere e di titolari di diritti presunti e pretesi.
Ancor più avvilente è stato il misero tentativo degli organi di governo di far credere alla pubblica opinione che, nell’umiliante circostanza, non ci sia stata trattativa fra la polizia di Stato e gli ultrà . Nessuno è così ingenuo. Simili dichiarazioni sono già di per sé un’autoaccusa, un riconoscimento di incapacità a gestire l’ordine negli stadi.
Si deve e si può fare qualcosa per arginare la frana e bloccare lo sgretolamento dei valori di Sport. Il male da estirpare lo conoscono bene i presidenti di club, colpevoli di averlo accresciuto cedendo alle minacce e alle pressioni di bande di delinquenti ai quali è stata offerta l’occasione di dar sfogo ai peggiori istinti di aggressività in ambiti sportivi colpevolmente protetti da norme e leggi sfrangiate.
Claudio Lotito è l’unico ad aver sempre combattuto questo stato di cose e a reagire con forza all’arroganza di schiere di provocatori. Gli ultrà hanno risposto disertando lo stadio, penalizzando così le entrate societarie.Lotito resiste. ma incassa il colpo mortale dell’indifferenza del mondo calcistico e della cronaca sportiva, troppo attenta a ignorare la contrapposizione per vile tornaconto.
E’ vero, gli onesti non fanno notizia, ma almeno servono a far intravvedere la speranza in una società più giusta.
Giocondo Talamonti