L’Italia è il paese dove ogni
reato, ogni colpa muove la compassione della gente. Fino a poco tempo fa,
l’uxoricidio per gelosia dei siciliani godeva di attenuanti per il carattere caliente
dei maschi o per quello delle donne. Non è mai stato chiaro. Il codice penale
italiano è impostato sulla posizione più favorevole al reo e a creare nel
dibattito in aula le migliori condizioni per l’insinuazione del dubbio (in dubium pro reo habetur), al punto che
oggi anche chi ha fatto fuori la moglie può sempre contare sulla comprensione
della corte, sulle attenuanti generiche, sui riti abbreviati, sui benefici per
buona condotta, sull’assenza di precedenti penali, sulla semi-libertà, su
quella vigilata, sugli arresti domiciliari …e via via, fino al ricevimento di
un premio speciale per la furbizia con cui è riuscito a evitare la galera o a
raggiungere la non sussistenza del reato.
La diffusione di tanta liberalità,
la disponibilità a comprendere il dramma intimo di chi dà alla compagna venti
coltellate per avere la libertà di godersi gli anni che gli restano in braccio
all’amante, anima una schiera crescente di cittadini, che prima della sentenza
grida ergastolo e che, poi, è pronta ad accogliere il reo nell’infinito mare
della pietas italica.
Questo per dire che le debolezze
della legge, ma soprattutto le debolezze degli italiani marciano ormai parallele.
Pensate all’indignazione iniziale
per le brutalità che hanno caratterizzato i casi di Cogne, di Perugia, per
quelli di Garlasco, per quello di Via Poma, e all’incongruente compiacimento
per lo scampato pericolo dei presunti colpevoli. Noi siamo così: lì per lì ce
la prendiamo e condividiamo il dolore della famiglia della vittima; dopo un
po’, meglio se dopo qualche anno, ci schieriamo decisamente con l’accusato e la
famiglia dell’accusato.
L’effetto nasce dai media, da
trasmissioni che si affollano a ogni ora della giornata televisiva e alle quali
partecipano sempre gli stessi opinionisti abili nell’indirizzare briciole di
verità servite con parsimonia ai telespettatori affamati. I casi sviscerati
nelle trasmissioni devono durare mesi, anni, e ad aumentare la curiosità
perversa ci pensano fior di psicologi.
La tecnica è applicabile anzi, è
sovrapponibile anche nel caso di reati più leggeri, purché capaci di riscuotere l’attenzione della gente, come in
vicende dello sport. Il coinvolgimento dello spettatore a casa è sintetizzato
nel protagonismo del ruolo che gli si intende far ricoprire: quello di giudice.
La giustizia affidata al popolo. Concetto pericoloso che va ben oltre il
coinvolgimento previsto nel codice con l’istituto della giuria popolare, ma che
pretende di essere la sola, unica, voce. Quella della folla, non del popolo.
Perché ci stupiamo tanto delle
violenze negli stadi, quando siamo fra quanti appoggiano le politiche bordline dei presidenti, le provocazioni
verbali degli allenatori, il gioco falloso dei giocatori, l’indifferenza degli
spettatori?
Non sarà meglio smetterla di fare
uso di ipocrisia, sopportare i danni che ci siamo procurati, essere coerenti
con noi stessi?
I fatti che a Genova hanno
portato alla derisione e all’umiliazione giocatori rei di non meritare la
maglia che indossavano e, quindi, obbligati da delinquenti a togliersela, sono
un esempio ulteriore di quanto sia pericoloso affidare alla folla la giustizia.
E non è valutazione dei tempi di
oggi. Già in epoche non sospette, le decisioni pilatesche avevano fatto i loro
danni. E che danni!