ALLARME DOPING



Un allarme del tutto nuovo s’avverte nel mondo dello sport in materia di doping. Come nella guerra infinita fra i tutori dell’ordine e i fuorilegge, oggi nei laboratori chimici c’è un fermento per immettere nei circuiti sportivi sostanze non rilevabili nell’ipotesi di controlli. E’ una nuova frontiera che muove interessi economici pari a quelli delle attività cui è destinato il prodotto. Contro l’avanzamento delle strategie illegali di case farmaceutiche con pochi scrupoli, le strutture di controllo non reggono. Impreparate a seguire le “scoperte”, si limitano a stilare liste di sostanze proibite superate dalla scienza medica. E quand’anche fossero in grado di conoscere gli sviluppi tecnici marcati da queste aziende, si troverebbero sempre a rincorrerle, senza effetti reali. La fantasia che sta alla base delle soluzioni di aggiramento della legge e delle norme dettate in materia, come, ad esempio, la possibilità di stimolare l’organismo a produrre quelle sostanze che consentono prestazioni elevate, senza che compaiano in circolo, le circostanze causali che le hanno generate.

E’ indubbio che certi sport abbiano assunto connotazioni che travalicano il puro gesto atletico, relegati a svolgere un ruolo d’immagine economica esclusivamente vincente. Gli interessi che stanno dietro ad una vittoria hanno un valore olimpico solo per gli ingenui. L’atleta o la squadra che non vince offusca l’immagine dello sponsor, legato a logiche di mercato che non consentono rilassamenti. L’imperativo è essere primi; posizione sublimata in centinaia di messaggi mediatici che affianca l’atleta all’azienda.

La situazione diventa ancora più problematica, quando ad avvalersene sono i protagonisti di sport di squadra dietro il cui comportamento si celano la consapevolezza e la responsabilità di forzare il rendimento, non solo personale ma anche della compagine a cui appartengono.

Si potrebbe determinare, infatti, un effetto domino, sia fra gli appartenenti alla propria squadra, sia tra coloro che li mitizzano, perché il successo continui.Non esiste morale da seguire in questa programmazione della supremazia; non esistono compromessi con la coscienza del singolo, né, tantomeno, alcun rispetto per quella collettiva. Siamo alla resa etica dello sport, all’ annullamento dei valori di lealtà, condizione primaria di ogni disciplina, alla mortificazione dell’uomo-atleta divenuto strumento della materialità.

Contro l’avanzamento di tali disegni esiste un solo strumento: educare o rieducare le masse al rispetto di se stessi e degli altri. E’ un compito enorme quello che attende famiglie, scuola e società; un impegno che può sembrare proibitivo, ma che non deve scoraggiare nessuno dall’intraprenderlo.

Prioritaria risulta, quindi, l’opera di prevenzione che, può e deve essere svolta facendo leva, non su campagne pubblicitarie, ma sulla persuasione personale.Tale effetto, si può ottenere tramite un efficace intervento culturale che deve crescere insieme all’individuo ed essere coltivato nel corso di tutta la vita.

La scuola, in detta ottica, è la sola che può far capire, nonostante i segnali contrari che possono provenire da certi ambienti, la differenza tra il vero significato dello sport, autentica espressione delle intrinseche potenzialità degli individui, con quello dell’”esercizio sportivo” legato agli interessi di mercato.

E’ necessario, pertanto, ricollocare lo sport nel suo ambito originario.Da come le istituzioni ed i privati cittadini affronteranno questa battaglia dipenderà il futuro delle prossime generazioni.Se si considera che in un recente sondaggio effettuato presso le Scuole Medie di Roma è risultato che oltre la metà degli intervistati sarebbero disposti ad assumere sostanze illecite pur di raggiungere notorietà e ricchezza, il quadro di degrado sociale appare in tutta la sua drammaticità.

In questo contesto, un ruolo predominante è giocato dai media, altrettanto interessati a creare pericolosi modelli di riferimento, neppure lontanamente sfiorati dai pericoli che comporta la mitizzazione nelle menti dei più deboli.

Lo sport non può e non deve identificarsi con questi obiettivi; sta a noi tutti ricondurlo nei canoni che gli sono propri: correttezza e lealtà, sacrificio ed impegno, vittoria come premio alla volontà. E poco importa se mancherà l’apporto finanziario degli sponsor quando il prezzo da pagare richiede il sacrificio della vita.
Giocondo Talamonti