A 70 anni si ritorna sui banchi di quella scuola che ci ha visti protagonisti nel 1952

 Oggi è una giornata importante. Voglio iniziare ringraziando tutti i presenti ed il particolare l’Assessore alla scuola Cinzia Fabrizi, il vicario generale Salvatore Ferdinandi della Diocesi di Terni, Narni, Amelia per aver risposto all’invito con entusiasmo. La Dirigente Prof.ssa Barbara Margheriti per la disponibilità ad essere qui oggi.

 

 Settant’anni fa un gruppetto di ragazzi iniziava, inconsapevolmente un percorso di vita con beata innocenza, ora si ritrovano nella stessa scuola che aveva ospitato speranze e aspettative, sogni e incertezze. La guerra, finita da poco, lasciava gli strascichi dell’indigenza compensata largamente dalla solidarietà.

 Era l’epoca felice in cui bastava un niente per sentirsi ricchi nello spirito e nel cuore.

 La scuola era vista come fucina del sapere, viva era la convinzione che saper leggere e scrivere fosse un vantaggio per uscire dalla miseria e dalle privazioni.

Era vista meno come luogo di educazione comportamentale, perché chi vi entrava conosceva già le regole civili del rispetto, impartite dalla famiglia, attenta ad inculcare i valori sociali e morali praticati da chi aveva sofferto gli orrori della guerra.

Un messaggio ai giovani che lo studio è fondamentale per crescere bene.

A 70 anni dagli stessi banchi della scuola “Oberdan” vogliamo dire ai giovani che studiare, leggere e continuare a farlo nell’arco della vita consente di essere liberi e di guardare ad un futuro di uguaglianza sociale.

Agli inizi del ‘900 l’analfabetismo raggiungeva l’80%, la maggior parte della gente firmava con una croce, per questo la parola data aveva un valore di contratto e gli accordi commerciali fra privati erano sugellati da una stretta di mano.

Quella generazione ha vissuto i licenziamenti negli anni ’50, la riconversione dell’Acciaieria dal bellico al civile e la grave crisi che portò prima a 700 e poi a 2000 licenziamenti, mettendo sul lastrico migliaia di famiglie.

Dal movimento di lotta prodotto dal legame sempre più stretto tra fabbrica e città, si è conformata “la classe operaia" che ha avuto la capacità intellettuale di “vedere” sempre con chiarezza i contorni delle varie crisi, e tracciare la via per governare i processi di risanamento industriale che si sono succeduti fino ai giorni nostri.

Ma torniamo sui banchi di scuola.

Ho iniziato la prima elementare nel 1952. In classe eravamo 25 (Armagno Antonio, Biancolatte Eugenio, Buzi Arnaldo, De Benedictis Alessandro, Evangelisti Sergio, Falchi Roberto, Falsini Pietro, Ferranti Adriano, Fausti Mario, Fiocchi Renzo, Giovannetti Mario, Guerra Sileno, Inches Nando, Lisci Vincenzo, Moresi Attilio, Nafissi Fabio, Ricci Romualdo, Ricciutelli Ernesto, Rossi Franco, Severini Daniele, Talamonti Giocondo, Tedeschi Renato, Tedeschi Silvano, Trionfetti Paolo, Todini Danilo) e la maestra era la Signora Maria Spagnoli ved. Moretti.

 Era un periodo in cui gli spostamenti frequenti delle famiglie da un quartiere ad un altro, comportavano cambiamenti di Istituto e di classe. Tre nuovi iscritti alla seconda classe (Mazzitelli Mauro, Mattioli Giampiero e Proietti Sandro), altri due sono stati inseriti in terza elementare (De Rosa Pino e Righi Dario), altri inserimenti si sono aggiunti in quarta (Chiavetti Piero, Duzi Carlo e Ricciutelli Rossano) e in quinta (Guarino Tommaso, Lucidi Luciano, Moroni Massimo e Pietrolati Sergio), altri sono usciti dal gruppo iniziale Armagno Antonio, Falsini Pietro, Giovannetti Mario, Inches Nando.

 

Ricordo che la scuola aveva una bella palestra, ma che ci fu tolta per un periodo abbastanza lungo, adattata a chiesa in attesa di edificare Santa Maria della Misericordia a Borgo Bovio, a due passi dalla scuola elementare.

I giovani del palazzo di via Romagna, n.93 che frequentavano la mia stessa classe erano due, Lisci Vincenzo e Armagno Tonino. Quest'ultimo emigrò negli Stati Uniti perché il padre che era un piazzista di stoffe aveva perso lavoro.

Abbiam già festeggiato nel 2002 cinquant'anni insieme ed in quella occasione la Preside ci ha messo a disposizione i giudizi di allora, trancianti per tutti, salvo qualcuno. Riproporli oggi significa l'allontanamento della maestra per incapacità pedagogica.

Nonostante l’abisso fra i metodi del tempo e quelli odierni, siamo cresciuti con sani valori.

Tutto era più facile a scuola in tema di educazione perché la famiglia collaborava allo sforzo dell’insegnante. La scuola era un punto di riferimento per tutti, al contrario di oggi, sottoposta a critiche ingiuste  da famiglie spesso disunite, da genitori separati che si fanno “perdonare” la colpa  con regali, “paghette” settimanali, sostituti ordinari dell’affetto cui ogni figlio ha diritto. Anche la figura del docente ha perso prestigio e autorità; gli esempi di reazioni scomposte di genitori insofferenti agli interventi dei docenti sono all’ordine del giorno. Ho ricordato le sensazioni vissute sapendo che non sono tanto diverse dalle vostre, ma il messaggio forte da trasmettere ai nipoti è di considerare lo studio e l’educazione fattori prioritari della crescita di ognuno.

Noi giovani del ’46, e qualcuno del ’45 siamo una testimonianza di bravi ragazzi, abbiamo imparato senza accorgercene il senso dell’amicizia disinteressata, il senso dell’appartenenza ad una comunità capace di unire e affratellare. Allora, dire “io so de Borgo Bovio” non era solo un monito che faceva riflettere chi avevi difronte, era un orgoglioso senso di appartenenza, di unità, di partecipazione alla vita del quartiere, significava impegnarsi per diventare protagonisti della crescita personale e di gruppo.