Per raggiungere la colonia marina estiva di Porto Civitanova si partiva da Terni in treno. All’epoca nei periodi estivi le famiglie non potendosi permettere di portare i numerosi figli al mare li mandavano in colonia a cura delle strutture produttive. Erano gli anni Cinquanta del secolo scorso
Durante le vacanze scolastiche venivo mandato dai miei in colonia, a Porto
Civitanova, luogo marino che ospitava i figli dei dipendenti della società
“Terni” altre volte a Monte Peglia con il CIF (Centro Italiano Femminile). Ora,
a Civitanova, il fabbricato che ci ospitava non c’è più.
Gli architetti dell’epoca disegnavano le colonie
secondo uno schema costruttivo inconfondibile improntato all’affermazione
dell’Italia del Duce. Conformi a tale stile sono molti i palazzi: che ancora
esistono nelle città (scuole, palestre G.I.L., uffici pubblici, caserme,
Centrali ecc.), a dimostrazione della nuova architettura in voga negli anni
1924-1938.
A Portocivitanova, anche se lontani dai nostri genitori la vita in colonia si
svolgeva felice tra coetanei.
Il sole e il mare erano gli elementi che secondo i nostri genitori aiutavano a
crescere in salute e ad imparare le regole della convivenza nel vivere gomito a
gomito con altri bambini.
Poteva capitare che, fratelli e sorelle, non
facessero parte dello stesso gruppo, cambiava la ragazza
incaricata di assistenza che ci controllava e che io chiamavo maestra. Quando
il tempo non consentiva di andare al mare, le assistenti ci raggruppavano e ci
intrattenevano raccontando favole che tutti ascoltavamo con tanto interesse e
con assoluto silenzio.
Il rispetto degli orari, la sveglia, il lavarsi e
rispondere all’appello per l’alzabandiera, lo stare tutti
seduti con ordine e nello stesso posto e alzarsi quando, su richiesta, ti era
consentito, rappresentavano i fondamenti per la formazione e per l’educazione
di noi giovani.
Certo allora tutto era più semplice in tema di
educazione perché la famiglia era più presente e la
scuola con l’educazione civica costituiva punto di riferimento per tutti. Oggi,
al contrario, gli ambienti famigliari sono stravolti dal fatto che entrambi i
genitori, per necessità, lavorano e non riescono a seguire con continuità i
propri figli. Consapevoli di tale status pensano di sostituire l’affetto e la protezione
che il figlio si attende con regali e con la “paghetta” settimanale. Anche la
scuola ha perso quel ruolo centrale che aveva. Anni fa se la scuola lamentava
il rispetto di regole comportamentali e i tuoi lo venivano a sapere, ti
punivano severamente. Ora i genitori moderni sono quasi sempre indotti a
pensare che la colpa sia degli insegnanti. Siamo arrivati all’assurdo.
Quasi tutte le colonie venivano edificate ai
margini delle spiagge marine ed erano pensate prevedendo al primo piano un
grande refettorio che all’occorrenza (in caso di pioggia o tempo brutto) si
trasformava in una sala di ricreazione. Al piano terra una camerata con tanti
letti più bagno e servizi igienici; dietro un grande spazio giardino, mentre
nel davanti la spiaggia.
Le colonie sono state progressivamente
abbandonate a seguito del benessere prodotto dal boom
economico che si era affacciato nel Paese, a partire dagli anni ’60. Ricordo,
anche, con piacere la Colonia di Monte Peglia, oggi distrutta dal tempo e dalla
mancanza di manutenzione. Le tracce rimanenti, le dimensioni e le aree che
risultavano grandi ai miei occhi di bambino, oggi mi appaiono notevolmente
ridimensionate.
Tutte le mattine dopo colazione eravamo soliti
andare verso il luogo ove si trova l’antenna di Monte
Peglia e lo facevamo attraversando una collina piena di pini accompagnati dalle
due “maestre”
incaricate di assisterci, di organizzare i giochi e, in caso di maltempo, di
impegnarci nei disegni.
Disegni che venivano appesi nella parete dell’edificio esterno, protetto da una
pensilina. Quando
venivano i dirigenti dell’associazione CIF, le assistenti li mettevano in bella
mostra. Io non sapevo
disegnare come gli altri, ma ricordo che una volta quei dirigenti si
soffermarono a lungo sul mio
disegno ammirandone i colori e a cogliere quel messaggio di apprezzamento della
natura e degli
animali che secondo loro avevo dato.
di Giocondo Talamonti