Il flusso migratorio dall’Africa e
dall’Asia è in preoccupante aumento,
gestito da affaristi senza scrupoli, creando seri problemi di accoglienza nel nostro e in altri Paesi del meridione
europeo. I Centri, nati per ricevere immigrati indeboliti dai disagi sociali
patiti nella loro terra d’origine, non sono in grado di sostenere l’onere di
veri e propri esodi, impossibilitati a garantire i minimi livelli di
operatività con serie conseguenze per la salute degli rifugiati e assenza quasi
totale per la loro dignità.
Con ricorrente frequenza, le condizioni
disumane alle quali sono esposti per sovraffollamento
gli immigrati generano problemi sociali, oltre che igienici e gestionali. Tale
situazione pesa maledettamente su tutta la popolazione italiana, compresi gli
stranieri che vivono e lavorano da tempo in Italia e che tanto hanno sofferto
per integrarsi con il paese ospitante.
I motivi alla base della fuga di massa dai due continenti sono vari: guerre,
persecuzioni, cambiamenti climatici, fame, sete. Ma esistono anche fattori
storici che hanno determinato l’arretramento culturale, alimentando la
legittima aspirazione di interi popoli di sperare in un mondo più equo.
Lo sfruttamento europeo di risorse locali, a
cominciare dallo schiavismo ha marcato un solco profondo quanto una ferita non
rimarginabile, una disparità geopolitica e sociale, niente affatto mitigata
dalla concessione di indipendenza che, a partire dagli anni sessanta dello
scorso secolo, gli invasori hanno ritenuto di elargire.
Al danno economico è stato così aggiunto
quello culturale. Concedere l’indipendenza a chi non possedeva le capacità di
gestirla ha amplificato il disagio socio-organizzativo, fino a sfociare in
lotte intestine spietate, interminabili, violente, come nel Congo squassato da
una guerra trentennale con oltre cinque milioni di morti. Il motivo è il
potere, il denaro, l’estrazione di minerali, come il coltan, utilizzato nella
fabbricazione di telefoni cellulari e computer, ma anche oro, rame, petrolio,
come in Angola, dove si è appena conclusa una sanguinosa guerra ventennale.
Quanto
sopra non mira a giustificare i flussi incontrollati, semmai a riflettere sulle
origini e responsabilità degli odierni esodi.
L’Europa è in grado di accogliere i
disperati che abbandonano la loro
terra, ma occorre una politica seria che coinvolga ogni singolo Stato, capace
di inserire in un nuovo contesto una massa crescente di persone che gradatamente
prendono coscienza del loro ruolo nel mondo e lottano per assicurarsi
condizioni di vita degne della persona umana.
Gli
arrivi ininterrotti di immigrati preoccupano gli europei più della crisi
economica. Ma affrontarli respingendo materialmente e psicologicamente tutti
non è la soluzione. Necessita un disegno comune e condiviso che miri a integrare coloro che meritano di essere
sostenuti nella realizzazione di un’aspirazione sacrosanta, predisponendo
strumenti che assicurino autonomia economica e libertà di scelta all’interno di
uno dei paesi europei in cui risiedere. Le concentrazioni che dovessero
verificarsi in uno degli Stati dell’Unione e che procurano criticità di accoglienza devono trovare appoggio finanziario e
logistico da parte dei partner.
L’assenza di direttive comunitarie efficaci è causa di reazioni sociali altrettanto
preoccupanti fra i richiedenti asilo. I numeri ci dicono che in Italia gli
stranieri denunciati oscillano da un minimo del 44 per cento per scippi, a un
massimo del 58 per furti in negozi. Dal 2006 al 2015 sono più che raddoppiate
le rapine in casa, quelle stesse rapine che solo per metà sono opera di
stranieri. La paura che milioni di
italiani provano nel camminare da soli la sera per le strade cittadine non è né
eccessiva, né ingiustificata. Chiunque delinque deve scontare la condanna nelle patrie galere.
Le carceri nazionali non sono strutturate a
ospitare l’attuale numero di condannati stranieri. E’ altissimo il rischio che
esse diventino fucina di terroristi,
delinquenti e violentatori. Le
misure da intraprendere non possono essere relative ad un singolo paese, ma
impongono condivisioni all’interno dell’Unione. Spalmare i clandestini e
profughi in più Comuni e l’istituzione dei Centri di Identificazione ed
Espulsione (CIE), prima denominati centri
di permanenza temporanea (CPT),
rappresentano non una soluzione ma un rattoppo, con l’opposizione, fra l’altro,
della maggior parte delle Regioni e dei Comuni.
Cosa possono fare i paesi più progrediti
per contenere il fenomeno e regolarlo?
-Limitare all’origine i processi di
immigrazione attraverso un’attenta politica di sviluppo, eliminando le
situazioni di miseria, di fame, di sete, monitorando conflitti interni e
contrasti socio-economici a rischio di guerra.
-Cambiare le politiche europee,
orientandole alla condivisione fra tutte le nazioni dell’Europa anziché
lasciare che l’onere dell’accoglienza gravi sempre su poche, quelle cioè più
prossime ai luoghi di partenza.
-Organizzare rimpatri rapidi e accordi
precisi con gli Stati di provenienza degli indesiderati; superare i tempi di
attesa dei ricorsi, ai quali si appella chi è colpito da un ordine di
espulsione; far intercorrere i tempi necessari all’analisi del ricorso nel
paese di origine e non in Italia. –
-Ridurre la conflittualità nelle arre più
a rischio facendo ricorso a politiche di pace che vedano anche l’intervento
dell’ONU e frenare ogni corsa al riarmo dei belligeranti.
-Stipulare accordi con i Paesi d’origine
e aprire corridoi umanitari per i richiedenti asilo.
-Colpire gli scafisti e stroncare il
traffico illegale di essere umani.
-Affidare ad organizzazioni internazionali
la gestione dei Centri, evitando speculazioni di cooperative dalla dubbia
moralità.
-Eliminare lo
sfruttamento di migranti in agricoltura che per sopravvivere percepiscono
3€ l’ora.
-Istituire
specifici Centri di istruzione per familiarizzare con la lingua, la
Costituzione, le leggi, con l’obbiettivo di farne riferimenti costanti per la
soluzione di problemi d’ordine sociale.
E’ sufficiente leggere la “Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea”,
per rendersi conto di quanto siano disattesi i principi sanciti: art.1 (la dignità umana è inviolabile. Essa deve
essere rispettata e tutelata); art.2 (Ogni
cittadino ha diritto alla vita); art.6 (Ogni
individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza); art. 13 (Ogni individuo ha diritto alla libertà di
movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare
qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese). La
“comunicazione” dell’Unione Europea del 25 gennaio 2017, assunta per fermare
gli scafisti e bloccare le partenze dalle coste nordafricane mediante
finanziamenti di progetti locali, rappresenta un palliativo che non risolve il
problema.
Persistono
per intero le difficoltà della situazione alla fonte, lasciando irrisolte le
vere cause che le producono. L’utopia di trasferirsi in un mondo migliore è,
fra l’altro, alimentata da un’illusoria e ingannevole propaganda dei prodotti
di consumo amplificata dalla stampa e TV europea.
Gli
investimenti vanno fatti nella terra di origine, facendo leva sul desiderio di
ciascuno di restare ancorato al suolo natio.
Si
ha l’impressione che il provvedimento europeo sia come un cerotto messo su una
coscia con la pretesa di saldare la frattura del femore, fra l’altro decantato
come tecnica di un fantomatico luminare ortopedico.
Nella
situazione particolare di Terni e dell’Umbria è necessario:
1)
Monitorare
costantemente
la gravità e pericolosità della situazione immigrati sul territorio.
2)
Dare
più incisività e progettualità alle politiche per
l’integrazione della Regione e dei Comuni.
3)
Procedere
all’attuazione del Protocollo d’intesa tra l’ANCI
regionale e le Associazioni degli immigrati.
4)
Garantire
un maggiore e più qualificato sostegno alle Consulte
comunali per l’integrazione ed alle associazioni che in Umbria si occupano del
problema.
5)
Coinvolgere
le scuole perché gli studenti siano sensibilizzati sul fenomeno
ed in generale sul processo dell’integrazione.
6)
Integrare
gli stranieri meritevoli attraverso lavori socialmente utili
o in progetti di manutenzione urbana.
7)
Prevedere
l’istituzione di sistematici convegni sul tema con la
partecipazione di tutte le forze vive della città per l’elaborazione di un
piano strategico e l’analisi del fenomeno.
Terni, 25 gennaio 2017
Il Segretario
Giocondo Talamonti
Il Presidente
Mario Andrea Bartolini