IL RICORDO DI BRUNO TRENTIN
di Giocondo Talamonti 30 agosto 2007
La scomparsa di Bruno Trentin lascia un vuoto incolmabile nel panorama del sindacalismo italiano.
E’ forse stato l’ultimo interprete di un ruolo svolto in funzione degli interessi dei lavoratori, se il compito di un loro rappresentante viene inteso come esclusiva tutela della dignità del lavoro non mediabile con altre realtà sociali.
Io lo ricordo partecipe alle iniziative scolastiche dell’IPSIA sui temi dell’occupazione, osservatore attento dei mutamenti della società, umile analista dei segnali che avrebbero delineato, da lì a poco, il quadro politico-economico di un’Italia in affanno.
Lo stile colto e i modi raffinati con cui sempre esprimeva le sue teorie, coinvolgendo ogni platea, si univa ad una lettura lucida degli eventi storici per proiettare gli scenari futuri.
Chi ha avuto modo di conoscerlo ne ha apprezzato la semplicità dell’espressione e la profondità delle idee.
Con lui si è forse chiusa una fase del sindacalismo Italiano in cui il binomio lavoratore-sindacato è stato vissuto nell’identificazione dei progetti, senza rinunciare al senso di responsabilità sociale che le parti giocavano nel tracciare il panorama pubblico del nostro Paese.
Considero un privilegio aver scambiato con lui opinioni che hanno spaziato dall’occupazione alla scuola, dalla formazione all’orientamento dei giovani.
A distanza di tempo, i miei studenti ricordano ancora il suo intervento nella “Sala Secci” dell’IPSIA in occasione della presentazione del libro “Il successo Formativo”, dove, attraverso un’analisi acuta dei problemi della Scuola, emerse la visione limpida di un società che fosse libera da preconcetti politici e orientata ad utilizzare le risorse del territorio come elemento di crescita economica e culturale.
I video del suo intervento fanno parte del patrimonio didattico inserito nell’archivio storico dell’IPSIA e testimoniano la sensibilità dell’Uomo verso i problemi dei giovani e del mondo del lavoro.
Bruno Trentin ha rappresentato la coscienza critica della sinistra e in particolare del comunismo italiano, perché ha saputo scindere l’ideologia dal pragmatismo del suo tempo, marcando un netto divario fra la realtà storica che investiva il mondo operaio e la derivazione politica che ne animava le scelte.
Suo grande merito è di aver tracciato percorsi netti e ben visibili sui quali i suoi migliori allievi, da Cofferati a Epifani, si sono impegnati con alterne fortune; ma che, comunque, restano un esempio di come intraprendere una via resa più complessa dall’evoluzione della società di oggi.
Ing. Giocondo Talamonti