E’ ora di attivare la Consulta e la presenza degli immigrati in Consiglio


Niente di meglio dei numeri per valutare l’entità di un fenomeno.
Il riferimento è alla presenza degli extracomunitari nella nostra città: circa 14.000, vale a dire il 15% circa della popolazione residente (20.000 nell’intera provincia). E’ un piccolo esercito che la mobilità dei popoli, il richiamo economico, il clima, l’accoglienza hanno attratto, nonostante le restrizioni delle leggi in tema di immigrazione e a dispetto di posizioni antiesterofili sostenute da alcuni partiti nazionali. La storia personale di ognuno di essi è quasi sempre tinta di tristezza, di fatti di miseria e privazioni, improntati al dolore per l’abbandono della propria terra.


Il legame di un uomo con il luogo d’origine è un cordone ombelicale inseparabile ed è comune a tutte le culture del mondo. Quando ci si allontana dai confini natii, il distacco è sempre vissuto in modo traumatico e sempre legato all’intima speranza di un ritorno non troppo lontano.
Chi si trova a dare ospitalità, non può ignorare che la divisione del territorio in aree di appartenenza sia una convenzione egoistica e ridicola, se vista nel rapporto genere umano-pianeta.


Tuttavia, è anche lecito difenderne i limiti da aggressioni, violenze e sottrazioni nello stesso modo con cui si fa per proteggere la propria casa.
Nel caso del fenomeno in esame, la miglior difesa che si possa organizzare è l’integrazione: far acquisire, cioè, agli ospiti più o meno attesi, la familiarità necessaria alle norme comportamentali che regolano il vivere civile della loro nuova realtà, addestrarli nell’uso della nuova lingua, conformarli alle tradizioni e costumi del loro nuovo contesto ambientale.
Tale processo richiede vari anni di pratica, sforzi finanziari per chi accoglie, sforzi fisici e mentali per chi è accolto. A ben guardare, questo supporto economico può tradursi in un investimento a medio termine, potendo disporre di capitale umano formato a partecipare al progresso di una comunità e al suo sviluppo socio-economico.








Quando la Roma Imperiale portava a termine nuove conquiste territoriali, il primo obbligo per i vinti era l’apprendimento della lingua del vincitore, contemporaneamente alle sue leggi, privilegiando così la comprensione come strumento prioritario dell’iter integrativo.


Niente di diverso oggi. In assenza di conoscenza della lingua, non esiste dialogo. Anzi, le chiusure che derivano dalla conservazione dei riferimenti culturali originari, rischiano di divenire un ostacolo per la comprensione con la realtà che si vive, fino ad isolare l’individuo dalla vita sociale. Investire nell’integrazione costa molto meno che privilegiare forme di assistenza e di mantenimento passivo. Le dimensioni numeriche degli immigrati nella nostra città possono tradursi in una grande risorsa umana da inserire nei progetti di crescita economica del territorio, solo se sapremo aiutarli ad integrarsi, a far loro superare le difficoltà di comprendere le leggi e supportarli nello sforzo di accettare le norme del vivere civile.


L’alternativa è l’ingovernabilità del fenomeno e la necessità di dover ricorrere a sistemi di difesa permanente contro un pericolo creato principalmente da noi. Cominciamo a fare la Consulta degli stranieri e a dare la possibilità agli stessi di essere presenti in Consiglio Comunale (con diritto di parola e non di voto) per esporre direttamente alla città le necessità più impellenti. Di superare nei loro confronti il concetto di assistenza (casa, lavoro, sussidi vari etc,) con l’integrazione. Gli stessi stranieri trovano importante essere assistiti, ma non a vita, intendono, invece integrarsi e avere una loro dignità nell’inserirsi nel tessuto produttivo e lavorativo della città.
Ciascuno faccia la propria parte.



Giocondo Talamonti