IL GIOCO E’ SEMPLICE….
Trentasei milioni di euro. Settantadue miliardi di vecchie lire. E’ il compenso per tre anni di contratto offerto per una prestazione di servizio. Per una equipe medica operatoria, direte voi. No! Per un team di ricerca nel settore della fisica nucleare, penserete. No! Per una sperimentazione rivoluzionaria nel campo della nanotecnologia, concluderete. Macchè!
Per allenare una squadra di calcio della Premier League inglese. Alla magra consolazione che siano stati offerti a un italiano, fa riscontro la desolante costatazione di come i soldi non debbano trovare una più convincente destinazione, aldilà del fatto che siano pubblici o privati.
Spendere 36 milioni di euro per far allenare venti giovanotti, dei quali alcuni guadagnano quanto il loro Mister, è un’offesa all’intelligenza e, mi rifiuto di credere, che possano almeno servire al presidente della squadra per sentirsi realizzato.
Una disciplina sportiva, come il calcio, non dà spazio a elucubrazioni, né promuove nessuno a guru. Non ci sta niente da inventare. Il gioco è semplice: undici giocatori in mutande corrono e si scambiano una palla con i piedi nel tentativo di mandarla all’interno di una porta. Il gioco resiste da oltre cento anni; si pratica ogni giorno su una miriade di stadi, campi, campetti, orti, cortili e strade più no meno sconnesse disseminate sull’intero globo terrestre. A parte le spontanee strategie, in grado di consentire il necessario equilibrio fra attacco e difesa, che cacchio ci sia da inventarsi, che non sia stato inventato nei cento anni di vita della disciplina, lo sa solo quel cretino di emiro proprietario del club che ha lanciato l’offerta.
Eppure, qualcuno penserà, se i vari Mourihno, Mancini, Fergusson, Capello sono vincenti, significa che hanno qualcosa più degli altri, che sono più bravi, che meritano un contratto più sostanzioso, e ciò in ragione dei risultati che ottengono.
Mi rendo conto che non c’è riprova; ma, scommetto che, se il farmacista del paese di Vattelapesca fosse chiamato in sostituzione di, mettiamo, Capello, i risultati non cambierebbero. Questi grossi personaggi, proprio in virtù del prestigio acquisito sul campo in annate spesso immeritatamente favorevoli, hanno oggi la forza di pretendere dal presidente scemo l’acquisto dei giocatori migliori sul mercato, utili al tipo di gioco che intendono adottare.
Lo stipendio che gli allenatori percepiscono è commisurato ai risultati e i risultati sono commisurati alle capacità dei singoli giocatori. Ne consegue che quegli allocchi di presidenti spendono due volte: prima per strapagare gli allenatori, poi per sperperare denaro per l’acquisto dei giocatori che essi stessi gli impongono. Una volta che in squadra hai i migliori calciatori che il mercato offre, vincere non è solo un obbligo, ma una logica conseguenza.
Resta il dubbio amletico del piacere che si prova a dissanguarsi.
Terni, 20 novembre 2011
Giocondo Talamonti