Articolo 18


E’ difficile dire se economia e politica sia l’una causa o effetto dell’altra, tanto sono interconnesse. Eppure, a ben guardare, non esiste distanza maggiore che le separi. Non c’è mai stato un politico che sia rivelato buon economista, così come nessun economista che sia diventato bravo politico. I rari tentativi di armonizzare i due mondi sotto un’unica guida hanno finito per produrre aborti sociali, trascinando nel fallimento degli intenti anche propugnatori di buone intenzioni.


La premessa è d’obbligo per introdurre un’analisi dello sforzo inumano di Mario Monti il quale, nella confusione della sua duplice funzione, politica ed economica, naufraga come uno Schettino qualunque nel mare magnum dell’inconciliabilità.


Il riferimento è all’Art. 18, presentato dal Premier come l’ostacolo maggiore all’avvio di un progetto di crescita nazionale, come il muro che divide bund e btp, come separé invalicabile fra lavoratori e datori di lavoro.
Affrontato così, il problema è destinato a creare tensioni di cui nessuno ha bisogno. Visto con un’ottica serena, il tema non reclama nessuna urgenza, semplicemente perché non esiste. L’accanimento a cancellarlo ha il sapore del contentino a vantaggio di una classe sociale che non lo digerisce a prescindere, ma che ha l’effetto si esasperarne un’altra che continua a sentirsi battere la testa come pesto in un mortaio.


Sarebbe sufficiente considerare che l’applicazione del disposto è destinata a regolare i rapporti di lavoro in realtà industriali con oltre 15 dipendenti, vale a dire una percentuale ridicola, prima che irrisoria e che in queste concentrazioni occupazionali c’è già chi, come Marchionne, che se ne frega delle norme che contiene.
Il ricorso all’Art. 18 nel passato anno ha visto interessati poche migliaia di lavoratori a dispute legali risoltesi con il compenso economico a neppure 300 persone.


Dov’è, allora, il problema? Possibile che nessuno si sia chiesto quale sia il ruolo svolto dall’Art. 18 nell’ambito del contratto collettivo? Possibile che si debba rinunciare ad un’innocua bandiera che testimoni la speranza in una continuità del lavoro morta da tempo?
Finché vedremo contrapposti i protagonisti dell’occupazione, lavoratori e datori di lavoro, finché si soffierà sulle fiamme a pieni polmoni, sarà difficile arrivare a conclusioni eque. E’ inconcepibile una realtà produttiva che possa fare a meno di dipendenti e dipendenti che possano fare a meno di un imprenditore.
Tunc, cui prodest? Allora, a chi giova?


Giocondo Talamonti