Il Giro del Centenario, seppure rivisti e corretti, ripropone i temi di sempre in fatto di doping. Perché tanta gente lungo le strade se tutti sanno che non c'è un ciclista che non sia ricorso ai fantasiosi mezzucci di cui oggi la chimica, la ricerca e la medicina dispongono per fregare i controlli?Come all'epoca bigotta della regina Vittoria, ognuno fa quelle cose, ma nessuno lo dice. C'è comunque un'altra verità a fianco di quella che vorrebbe descrivere i corridori come gente dedita solo a farsi le pere e imbottirsi di schifezze. Il ciclismo, ingiustamente, ha pagato il prezzo più alto di 'sputtanamento' mediatico fra le discipline popolari.
Chi è pronto a giurare che uno qualsiasi dei corridori che scorrazzano sulle strade d'Europa sia immune da tentazioni e tentativi è un ingenuo. Ma come mai dopo una carriera di vent'anni, fatte rare eccezioni, i lavoratori del pedale non evidenziano i danni fisici che ogni porcheria di solito comporta?
Come mai non assumono fattezze di larve umane, occhi spiritati, denti erosi e giallastri, ossa distorte dal vizio e faccia inespressiva?Prima di far passare l'idea che drogarsi non fa male, sarà il caso di discutere su quello che è droga. Il ciclismo da tempo è diventato terreno di caccia alle streghe.
Con la scusa di non permettere abusi, si è esagerato nella condanna di tutto quello che non fosse pasta al pomodoro e fettina cotta a bagnomaria. Ogni spezia è un attentato alla regolarità di una corsa. Prendersi un caffè è un atto di subdolo inganno, curarsi un raffreddore con i medicinali dei comuni mortali è il massimo della furbizia antisportiva, spalmarsi una pomata al cortisone sul mignolo ferito equivale a compiere la trasgressione più ignobile.
La domanda sorge spontanea: non sarà che l'elenco delle sostanze proibite e dei limiti alle quantità assunte siano diventati ossessivi?
Il sistema adottato dagli organismi internazionali somiglia sempre più a quello assunto, illo tempore, dalla Santa Inquisizione; basta il desiderio di un tè ai pasticcini per beccarsi un ergastolo.Il pericolo è proprio quello cui si accennava sopra: fra i giovani e fra gli amatori può passare il messaggio che assumere sostanze illecite non crea problemi fisici. Sia chiaro: il ricorso ad anabolizzanti, all'ossigenazione forzata del sangue o, peggio ancora, alla cocaina, deve comportare la squalifica a vita dei trasgressori, ma le assunzioni di sostanze di quotidiano uso, per quanto stimolanti, non possono e non devono essere demonizzate come droghe, restituendo credibilità a sportivi e discipline.